UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
I due contributi sono stati selezionati dal prof. Federico Adinolfi,
studioso e docente di Scienze Religiose.
“La mortalità infantile è oggi solitamente inferiore all’1% nei paesi ricchi, ma in epoca premoderna variava dal 30% al 50%… Sulla base dei calcoli sopra riportati… le conclusioni sono che, se una coppia avesse dato alla luce dieci figli, due di loro sarebbero morti prima del primo compleanno, un altro prima dei cinque anni e uno o due prima dei diciannove anni. Dei restanti cinque o sei figli, altri due o tre sarebbero morti prima dei trentacinque anni. Solo due o tre dei dieci potevano aspettarsi di vivere oltre i quarant’anni. Inoltre, poco dopo la nascita del decimo figlio, uno dei genitori sarebbe morto, lasciando il genitore sopravvissuto con cinque o sei figli da crescere da solo. Così, in ogni famiglia c’era lutto per i propri figli morti. Una mortalità infantile così alta deve aver significato che la morte, il lutto e la tristezza erano una realtà quasi costante per ogni famiglia. Non perdevano solo un figlio, ma diversi. Questa realtà ci
viene presentata nei Vangeli del Nuovo Testamento, dove le famiglie piangono spesso la morte di un figlio (Marco 5,35; Luca 7,12; 8,49; Giovanni 11,14) o mostrano ansia per la malattia di un figlio (Marco 9,17-18; Luca 8,42; 9,42; Giovanni 4,49). Infatti, le uniche persone morte che incontriamo nei quattro Vangeli – eccetto Gesù – sono bambini e adolescenti. Quando teniamo presente la mortalità infantile nel mondo antico, iniziamo a guardare con occhi diversi certe scene a noi familiari.
Quando leggiamo che i genitori portavano i loro figli da Gesù affinché li “toccasse” e li benedicesse (Marco 10,13//Matteo 19,13//Luca 18,15), alla luce delle prove sopra citate, dobbiamo immaginare un quadro diverso da quello che solitamente ci viene in mente. Probabilmente quei genitori avevano già perso dei figli. La scena, quindi, non era felice, ma disperata”.
(David A. Fiensy, 2024)
“La società di Gesù, come nel resto del mondo antico, può essere considerata come afflitta da una crisi sanitaria cronica e continua, secondo gli standard moderni. … Le malattie croniche e stagionali, in particolare la malaria, decimavano segmenti significativi della popolazione e spesso colpivano anche le persone più sane (Reed 2010). Reed osserva che, come in altre zone del Mediterraneo, anche la Galilea avrebbe sofferto di «una pletora di malattie gastrointestinali e respiratorie rapidamente letali come la dissenteria, il tifo, la tubercolosi, la peste e soprattutto la malaria» (Reed 2010).
Gesù, come descritto nei vangeli sinottici, rimane notevolmente immune da queste malattie, nonostante agisca in modo opposto all’autoisolamento in un ambiente afflitto dalla malattia. Entra attivamente nelle case in cui le persone giacciono malate con la
febbre (Mc 1,30-31 e parr.; Lc 4,38), per esempio, e impone le mani sui malati (Mc 6,5; 8,23-25; Lc 4,40; 13,13) o li prende per mano (Mc 5,41; Mt 9,25; Lc 8,54). Tocca i ciechi e i sordi, usando persino il proprio sputo come parte della cura (Mc 7,31-37; 8,22-26, Gv 9,11-41). Come osservato sopra, le persone cercano quindi il contatto fisico diretto con Gesù per essere guarite (Mc 3,3, 10; 5,23, 27; 7,32; Mt 9,18, 20-21; Lc 8,44-46, 53). Il potere (lo Spirito) di Gesù si manifesta attraverso tale contatto fisico (Mc 5,30; Lc 8,45-46). Dopo che i suoi apostoli sono stati inviati a guarire, «con autorità sugli spiriti immondi» (Mc 6,7) nel suo nome, si dice che essi, come Gesù, «scacciarono molti demoni e unsero con olio molti malati e li guarirono» (Mc 6,13, e vedi Lc 10,34). L’unzione con l’olio, che implica una pratica manuale, merita
attenzione: l’unzione delle persone da parte di Gesù e dei suoi apostoli era qualcosa di più di una semplice pressione sulla mano o sulla testa.
Imporre le mani su una persona poteva essere parte della guarigione esorcistica, come attestato nell’Apocrifo della Genesi di Qumran (1QapGen 20.16-31), ma, come ha osservato David Aune, il contatto fisico attestato come parte di un esorcismo o di qualsiasi altra forma antica di guarigione era apparentemente raro (Aune 2006: 395). Se il contatto fisico (unzione con olio, tocco) non era poi così comune nelle guarigioni, questo di per sé è un indizio importante di ciò che rendeva Gesù una figure di spicco: era diretto, pronto a impegnarsi in prima persona, da vicino e in modo personale con qualsiasi cosa causasse danno al corpo umano.
Il potere curativo del contatto affettivo è ormai ampiamente documentato in medicina (Anderson e Taylor 2011). A prescindere dalle “mani curative” sperimentate dalle persone che praticano medicine alternative, è stato documentato empiricamente che il contatto positivo rilascia serotonina e ossitocina nel ricevente: si tratta di ormoni che riparano e rafforzano il sistema immunitario (Roumier, Béchade e Maroteaux 2018; Mössner e Lesch 1998). L’ossitocina, in particolare, ha dimostrato di inibire le condizioni settiche (Berczi 2012).
(….) Siamo portati a immaginare Gesù che si muove tra la folla in una situazione di crisi sanitaria, toccando le persone, entrando nelle loro case, con la gente che gli sta intorno (Mc 5,24.31), senza ammalarsi lui stesso”.
(Joan E. Taylor, 2021)


