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La regione Toscana si è pronunciata sul così detto suicidio assistito ingenerando non pochi dubbi e perplessità anche dal punto di vista costituzionale. Come è noto, già la Corte costituzionale aveva preso posizione ribadendo che, in mancanza di una legge nazionale i requisiti per l’accesso al suicidio assistito restano quelli stabiliti dalla sentenza n. 242 del 2019, compresa la dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, il cui significato deve però essere correttamente interpretato in conformità a quella sentenza. Tutti questi requisiti:1) irreversibilità della patologia, 2) presenza di sofferenze fisiche o psicologiche, che il paziente reputa intollerabili, 3) dipendenza del paziente da trattamenti di sostegno vitale, 4) capacità del paziente di prendere decisioni libere e consapevoli, devono essere accertati dal servizio sanitario nazionale, con le modalità procedurali stabilite in quella medesima sentenza.
Bisogna rilevare che non è la libertà a costituire la dignità dei nostri comportamenti, anche se oggi, nella nostra cultura sembrerebbe che sia così: l’azione libera viene identificata con l’agire con dignità. Non è però la libertà che dà dignità al comportamento umano. E’ vero tuttavia che l’atto può essere degno della persona solo se è un atto umano, cioè libero. Ma non sempre è degno ciò che è libero; vi sono tanti comportamenti che sono liberi e non sono degni della persona, – né della persona su cui si agisce, né della persona che agisce. Esistono azioni libere indegne della persona umana. Se ad esempio viene compiuto un atto di stupro nei confronti di una donna, tale comportamento è indegno per l’uomo.
Supponiamo che sia stata compiuta quell’azione liberamente, in piena autonomia da parte dell’uomo. Ma è un atto degno della persona? La libertà quindi, non dà la dignità alle proprie azioni, ma dà la possibilità di agire in modo degno o indegno. Ma la dignità o indegnità di un atto libero non dipende solo dal fatto che sia libero, ma dalla corrispondenza di quella scelta libera alla dignità della persona altrui e della propria. Ecco perché offendere liberamente l’altro è un comportamento indegno.
L’equivalenza “morte degna” = eutanasia, perché scelta libera, è quindi discutibile se non addirittura falsa. Infatti, se un soggetto chiedesse insistentemente di essere torturato, questa opzione non sarebbe opzione degna, né rispetterebbe la sua dignità, anche se la richiesta fosse del tutto libera.
Vi sono molti mascheramenti in tal senso, soprattutto se si rispondesse al soggetto in modo affermativo: “Sì, ti aiuto”. In tal modo viene compiuta un’azione che rispetta la sua libertà ma non la sua dignità. La vita è un bene indisponibile non solo riguardo alla vita altrui, ma prima di tutto riguardo alla propria vita. Un’opzione volontaria, cosciente, libera, di suicidio assistito, può essere lesiva della propria dignità. Pertanto, l’eutanasia, nel senso attuale dato alla parola, non è univocamente assimilabile a morte degna anche se la persona muore in pace e forse senza sofferenza.
Occorre discriminare tra vite degne e non degne di essere vissute? Bisogna evitare di cadere in un’antropologia dualista, spesso presente in coloro che difendono l’eutanasia. Tipica è infatti l’espressione: “Ormai è solamente una vita biologica, non c’è più vita personale, è un vegetale”. E’ anche frequente la distinzione radicale tra “vita biologica” e “vita biografica”, considerando la seconda come l’unica che dia senso all’esistenza della persona, e la prima come qualcosa di sub-umano. Ma chi si trova in “stato vegetativo persistente” è ancora una persona degna di rispetto? La persona è un’unità: non c’è mai un corpo umano che sia solo una specie di vegetale, un fenomeno biologico vivente, senza che sia il corpo di un io, di una persona. In questo senso bisogna affermare che la vita biologica di un individuo umano è sempre vita umana, e forma parte sempre della sua vita biografica. Ecco perché è necessario sostenere l’identità biologica, ontologica, morale e giuridica della persona.
Armando Savignano
