UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Ognuno di noi porta dentro di sé delle “immagini primordiali”, che attingono gli strati più profondi della psiche. Sono le immagini primordiali di noi stessi, di Dio, del mondo, delle relazioni fondamentali. La contemplazione è l’evangelizzazione del profondo. Essa purifica da tutte le false immagini di Dio. Essa riplasma l’interiorità e la con-forma a Cristo.
Il “ricevere” l’amore, afferma la psicologia, “fonda la certezza di essere amati e rende capaci di amare”; chi non si lascia amare non potrà mai consegnarsi nell’amore. L’Amato si lascia “consegnare” di mano in mano. Giuda lo consegna ai sommi sacerdoti (Mc 14,10), i sommi sacerdoti lo consegnano a Pilato (Mc 15,1), Pilato lo consegna al popolo perché venga crocifisso (Mc 15,15). Il Consegnato consegna lo Spirito (Gv. 19,30), l’Amore, nell’ora suprema dell’abbandono, per cui Paolo esclama: mi ha amato e ha consegnato se stesso per me (Gal 2,20).
Se il Padre è l’Amante e il figlio è l’Amato, lo Spirito è l’Amore che intercorre tra i due, amore che crea unità nella libertà tra l’Amante, l’Amato e gli amanti.
L’Amore che, lasciandosi consegnare dal Figlio al Padre nel Venerdì Santo e dal Padre al Figlio nel terzo giorno, ricostruisce questa unità in Dio e tra Dio e gli uomini. Unità nella libertà di amare e di lasciarsi amare, nella certezza di essere stato amato e di poter amare.
A livello psicologico, per amare e lasciarsi amare è indispensabile non avere “fobia” dell’amore, né essere angosciati eccessivamente di essere amati. Ci sono persone che senza alcuna colpa, magari per problemi o traumi infantili, non sanno coinvolgersi in relazioni affettive. A volte mantengono un atteggiamento distaccato e
piuttosto freddo, quasi da superuomini. Questa fobia dell’amore può impedire l’esperienza di sentirsi amati, non solo umanamente, ma anche spiritualmente.
Tutti razionalmente sappiamo che Dio ci ama, ma non tutti si sentono amati da Lui. 0ltre alla fobia di lasciarsi amare, un grande ostacolo all’amore è la ricerca angosciosa di essere amati, tipica delle persone narcisiste. A questo punto si sperimenta che più si cerca l’amore meno ci si sente amati. L’amore in questo modo è vissuto come compravendita, dove si fa di tutto per elemosinare un po’ di amore, percependosi sempre meno amati.
In psicologia vi è una legge ferrea che dice “più si cerca l’amore meno lo si trova”. Per questo è necessario passare dalla ricerca di essere amati alla scelta di amare, solo così ci si scopre amati.
Gesù, il Figlio eternamente amato dal Padre, ci insegna, non solo il dare, ma anche il ricevere l’amore. Nel ricevere l’amore si fonda la certezza di essere capaci di amare. Chi non è stato amato avrà grosse difficoltà ad amare.
La vita di Gesù ci rivela l’amore ricevuto dal Padre da sempre, dalla madre nel tempo; l’amore ricevuto dai discepoli, dagli amici e dalla folla, infonderanno nel Figlio la capacità di dare la vita fino in fondo, fino alla consegna totale di se stesso (Gv 13,1).
Per questo il Padre ci ha amato per primo, per renderci capaci di amare. Sarà quest’amore a farci compiere il grande passo: dall’incontro con il Figlio alla scoperta del Padre.
Scoperta di una relazione personale
Questo incontro con il Dio vivo, con Gesù vivo, immediatamente porta a una percezione chiara che tra me e Lui c’è un rapporto personale.
Non siamo elementi anonimi, confusi in una folla: Egli cerca me, proprio me, il mio volto. Mi guarda e mi ama.
Se è un vero incontro d’amore, ha bisogno del “téte-a-téte” che Carlo de Foucauld prediligeva: “Io – Tu”. E poi c’è il “noi” della liturgia, si capisce.
È un Dio che chiama per nome.
Chi è? È uno che mi chiama per nome: dunque mi conosce! Fa impressione l’essere chiamati per nome, quando uno non se lo aspetta!
Parlando di un incontro meraviglioso di Abramo col Signore, si dice nel Libro sacro: “E là invocò il nome di Javhè” (Gen 13,4). Di Dio si sa ancora poco, a quell’epoca è ancora chiamato il Dio montanaro, il Dio delle montagne.
Ma poco importa: invocando “il Nome” Abramo raggiuge Dio in ciò che ha di più personale. Si comporta da “amico di Dio”.
Ma intanto Abramo è già in rapporto personale col Signore.
Che rivoluzione in un’esistenza quando ci si sente chiamati così, per nome, e amati dal Signore!
Questa convinzione deve tradursi in esperienza: l’esperienza di essere amati personalmente dal Signore.
È una rivoluzione in un’esistenza quando questo accade. Di lì nasce la sete di Dio, e la ricerca del Suo Volto.
I Salmi ne sono pieni. “Come la cerva anela ai corsi d’acqua…” (Sal 41). “Di Te ha sete l’anima mia…” (Sal 62).
I cinque minuti, nell’ esperienza di fede, sono il momento decisivo della scoperta.
E poi tutta la vita in una scoperta progressiva di questo Volto, che affascina sempre più.
Egli ti ha cercato per primo
È la più bella scoperta: quello che tocca maggiormente il cuore è quando alla fine ci si accorge che più che essere noi che andavamo alla sua ricerca, era Lui che cercava noi.
Del resto Agostino l’aveva già detto in modo inarrivabile:
“Non lo cercheresti, se Egli non ti avesse cercato per primo. Più Lo trovi, e più il desiderio di cercarlo si fa cocente. Più Lo trovi e più Lo cerchi. Lo trovi solo per cercarlo più avidamente: amore crescente inquisitio crescat inventi. Invenitur ut quaeratur avidius”.
La vita allora diventa un’avventura alla ricerca del Volto.
E’ il primo aspetto, fondamentale, dell’esperienza di Fede.
Quello che abbiamo visto a livello biblico, dobbiamo tradurlo su un piano personale. Non deve rimanere un’astrazione. Anch’io sono stato afferrato da Cristo, come Paolo.
Dove incontrarlo concretamente?
Ma, in concreto, dove incontrarlo il Signore?
Dovunque Egli è – ed Egli è dappertutto e riempie tutte le realtà.
Mi pare molto interessante, a questo riguardo, l’antica concezione patristica sulla struttura sacramentale della realtà.
Che significa questo? Che infondo a tutte le realtà c’è la presenza del Signore. Ma siccome si tratta di “sacramenti”, cioè realtà sensibili che contengono una realtà
divina, bisogna squarciare il velo sensibile. Così in ogni realtà si può incontrare il Signore.
Naturalmente questa presenza ha delle gradazioni. Potremmo concepire le cose così, in una specie di schema:
C’è la presenza gloriosa del Risorto, alla destra del Padre. E ci sono le proiezioni terrestri realissime, di quella presenza che, anzi tutto, si concentrano sul centro focale, che è l’Eucaristia.
Lì è presente, “maxime”. Ma, a partire da quel fuoco, c’è un irradiarsi di questa presenza del Risorto, che afferra anzitutto i segni ecclesiali: i sacramenti, la parola, la vita dei fedeli, il mondo umano, lo stesso mondo cosmico.
E’ come quando si butta un sasso nell’acqua e sulla superficie si forma un primo cerchio più marcato, e poi altri cerchi che si allargano, si allargano, fino a raggiungere le rive del lago.
E’ una presenza che si allarga fino ad afferrare tutto. E allora diventa possibile incontrarlo in tutto; non solo nei riti sacramentali, segni privilegiati della presenza di Cristo, ma anche nei “piccoli sacramenti” della vita quotidiana.
Il più privilegiato – perché afferra capillarmente tutta la giornata – è il “segno” dei fratelli. Bisogna fare di ogni incontro, un incontro con il Signore, un incontro con il suo Volto.
Questo, se è vissuto veramente, trasfigura l’esistenza. Cos’è accaduto sul monte della Trasfigurazione?
L’umanità del Cristo era un velo: un segno che rivelava, ma insieme nascondeva, come la nube dell’Antico Testamento. Il velo si è squarciato ed è apparso qualcosa della bellezza di Dio che abitava corporalmente in Cristo.
Quando il velo si squarcia, la bellezza del Signore ci riempie l’animo di gioia.
Mons. Egidio Faglioni

