AMORE, LA STRADA PERFETTA

Amore: dono e dramma

Amare autenticamente, da cristiani, significa oggi tante volte andare contro corrente, essere uomini schietti che dicono male al male e bene al bene e con coraggio scelgono contro la maniera comune di far equivalere amore a sesso, validità a successo, autenticità a look o apparenza. Se vogliamo raggiungere lo stile di amore del Cristo dobbiamo prepararci anche a soffrire come Lui, in compagnia di Lui.

         Amare da cristiani è questo miracolo: fare perno su Dio attraverso la persona di Cristo e donarsi agli altri in atteggiamento di disponibilità, di accoglienza, di aiuto. Entro quest’area le vocazioni al matrimonio, come alla vita consacrata, saranno vocazioni all’amore. Amando sul serio, acquisteremo l’intelligenza e la cultura dell’amore; la correttezza nel vedere le esigenze e la concretezza del donarsi.

         Di quale amore intendiamo parlare qui? Innanzitutto di quello che rientra nella seconda parte del primo precetto: l’amore che noi uomini ci dobbiamo, a vari titoli e livelli, l’uno verso l’altro, in base non tanto all’antica misura: “amerai il prossimo tuo come te stesso”, quanto alla misura rinnovata da Cristo: “amatevi l’un l’altro come io ho amato voi”.

         Vorrei presentare l’amore umano nel suo splendore massimo, come si vede in chi abbia seguito in piena fedeltà Cristo (ed ecco l’esempio dei santi che confermano che il progetto è reale e non utopico). Ma mi attengo volentieri all’esperienza ordinaria della vita, presentando l’amore umano come è stato nel passato ed è oggi ancora – grazie a Dio – presso la gente comune, che trova quasi a sua insaputa nella propria cultura molti semi di cristianesimo sebbene non vissuti con la coerenza che richiederebbero.

         Semi di cristianesimo che rafforzano quelli della natura nella sua parte sana. Essi, secondo le vie segrete di Dio, sono gli stessi che permettono di arrivare a vette di altruismo a donne vietnamite e rwandesi o a giovani indiani o sudafricani, che in verità

mai hanno raggiunto l’annuncio di Cristo, ma hanno vissuto il suo mistero di carità (Evangelii nuntiandi di Paolo VI, n. 69).

          In questo momento sono certamente milioni le persone che stanno assistendo con sacrificio e dedizione ammirevole altre persone schiacciate da sventure e bisogni come guerre, alluvioni, malattie, indigenze estreme. E sono ancora di più le madri, le sorelle, i fratelli, gli amici, i fidanzati che si testimoniano un amore non perfetto, ma sicuramente valido, donando tempo, denaro, sonno, interesse, insomma la propria esistenza, dentro la quotidianità ordinaria. L’amore dunque sarebbe solo orizzontale e senza sbocchi che vadano al di là dell’istinto?

         Se tutto fosse così minimizzabile e banalizzabile, anche la vita stessa sarebbe assai poca cosa. Dove l’amore non è un valore etico e spirituale, l’uomo stesso si svuota ed è riducibile a ciò cui hanno osato le peggiori ideologie con i loro lager e i forni crematori.

         Nonostante ciò, la legge vera per l’uomo di sempre è l’amore. “L’amore è più forte”: non è soltanto una bella frase, ma una realtà che affonda le sue radici nel mistero di Dio-Amore per il quale l’uomo, seppure tanto misero, è capace di quei gesti immensi, pur nella loro quotidianità, che portano avanti la storia: i gesti dell’amore. Amore piccolo, ma anche grande.

         Un giusto realismo esige che esprimiamo subito una specie di elogio dell’amore, dicendo come è in sé e come può incarnarsi in coloro che decidono di renderlo sul serio; ma accanto a questo elogio va posto un lamento o piuttosto un “mea culpa” per tutti i tradimenti dell’amore, nostri e altrui. Ogni volta che qualcuno di noi manca nell’amore è il mondo intero che “perde temperatura”.

         Elogiare l’amore! Appena uno ci prova, vede che le parole gli mancano e, rincorrendole furiosamente, cade piuttosto nella “affabulazione” di cui si vergogna, spiacendogli di essere uno che, mentre vorrebbe cantare, gli escono suoni stonati.

         L’impresa è ardua, infatti. Perché amore è donare e ricevere; amore è volontà di bene; amore è stima di sé, degli altri, delle cose stesse e degli avvenimenti; amore è concretezza, è azione; amore è portare in cuore tutti gli “auguri”, i propositi, le domande del Padre nostro e delle Beatitudini; amore è comunicare; amore è fame non solo di affetti, ma di verità forti e impegnative; amore è sentire misericordia per chi ha meno amore; amore è perdono per chi ha mancato all’amore; è dialogo che da Dio passa all’uomo; è igiene mentale, è castità; è anima e corpo da insegnare secondo la propria vocazione; è una disposizione alla totalità, senza mettere condizioni; è misura a volta a volta da inventare; è fidarsi con intelligenza d’amore; è avere una ragione seria, un “valore” per vivere e per donarsi; amore è grande pazienza e grande impazienza; amore è fedeltà; ecc.

Questa difficoltà a descrivere l’amore è un’ulteriore presa di coscienza di quanto esso non solo sia difficile da essere presentato ma vissuto. I bei concetti trovano faticosi riscontri nella realtà. E qui potrebbe succedere che, cancellando tutti gli elogi, ci si abbandoni a un sentimento di pessimismo, che pare più realistico. Ora, però, l’amore non è mancanza di realismo ed evasione dalla vita: piuttosto il pessimismo che raffredda i cuori e toglie la capacità di rischiare è fuga. Per sua natura l’amore è rischio, non matematica certezza: se prima di amare uno vuole essere sicuro in tutto, non amerà mai. E’ l’amore che lo spinge a confrontarsi con i fatti, a sostenere l’urto ed a entrare nella sana lotta dell’esistenza.

         Nella luce della carità, intesa come partecipazione all’amore pasquale di Gesù di fronte alle situazioni più difficili e drammatiche, possiamo comprendere un tema particolarmente sottolineato nei programmi della Chiesa in questi ultimi anni soprattutto a partire dalla Evangelii nuntiandi di Paolo VI. “Un segno d’amore sarà anche lo sforzo di trasmettere ai cristiani, non dubbi e incertezze nati da una erudizione male assimilata, ma alcune certezze solide, perché ancorate nella Parola di Dio. I fedeli hanno bisogno di queste certezze per la loro vita cristiana, ne hanno diritto in quanto sono figli di Dio, che tra le sue braccia, s’abbandonano interamente alle esigenze dell’amore” (n. 79).

         E’ importante quindi che le ragioni istintive di intervento a favore degli ultimi vengano rese efficaci e risonanti dalle perentorie ragioni della carità. Gli ultimi vanno preferiti perché sono coloro che Gesù ha maggiormente amato; sono coloro che hanno maggiormente bisogno della speranza che deriva dall’amore pasquale. In loro la Pasqua rivela più chiaramente la sua capacità di essere una vittoria definitiva proprio sui mali più irreparabili.

         A loro in modo particolare bisogna dire che Cristo è vicino; che anche nella loro situazione è possibile far nascere un germe di amore. In loro bisogna far sorgere urgentemente la certezza che, se riescono a credere nell’amore e a vivere nell’amore, hanno trovato la salvezza.

Mons. Egidio Faglioni

Migliora monsignor Faglioni | Gazzetta di Mantova
Ragazza che disegna con il gesso sulla strada
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