UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Il benessere del bambino che deve nascere può essere compromesso quando è presente:
- una scarsa maturità personale;
- una modesta capacità di mettersi in comunione con il nascituro;
- un ambiente ansioso;
- una visione distorta o alterata della gravidanza;
- La scarsa maturità personale.
La scarsa maturità può essere dovuta ad un’età troppo precoce dei genitori, ma, il più spesso oggi, più che la giovane età, la causa della scarsa maturità va ricercata in un’educazione poco efficace ed attenta nello stimolare e sviluppare tutte quelle qualità che concorrono alla formazione di un uomo e di una donna maturi, attenti e responsabili.
- La scarsa capacità di entrare in comunione con il nascituro.
Per alcuni genitori è difficile entrare in comunione con il nascituro.
Alcuni, soprattutto i padri, avvertono la presenza del figlio solo dopo la nascita. Mentre quest’ultimo si trova nel ventre materno, lo sentono come qualcosa di cui occuparsi, piuttosto che come un essere umano con il quale cominciare ad entrare in comunione e in confidenza. Per entrambi i genitori è difficile mettersi in sintonia con il figlio che deve nascere quando i loro disturbi psicologici sovrastano e alterano la comunicazione e l’empatia necessarie. L’empatia che è la capacità di riconoscere in se stessi e negli altri alcuni importanti stati mentali come le intenzioni i desideri, le credenze e le emozioni La sua mancanza rende difficile se non impossibile comprendere gli stati mentali del piccolo, in quanto non si riesce a percepire i suoi più intimi aspetti emozionali.
- La presenza di un ambiente ansioso.
Una madre ansiosa è già in allarme prima ancora di decidere di avere un figlio, per cui si chiede continuamente se sia o non sia un bene per lei e per la sua famiglia affrontare una gravidanza e una maternità. La preoccupano i mille ipotetici rischi. L’età, ad esempio: ‹‹Ho l’età giusta per avere un bambino?›› ‹‹Sono forse troppo immatura?›› O al contrario: ‹‹Sono forse troppo anziana per cui vi possono essere dei rischi per me e per il nascituro?›› L’angosciano i rischi di tipo medico, ginecologico ma anche quelli ereditari: ‹‹Come sarà il futuro di questo figlio, se sua nonna soffre di diabete?›› ‹‹Se io, da anni, soffro di allergie e insonnia; se sua zia è morta di tumore, cosa sarà di questo bambino?›› La preoccupano le proprie capacità gestionali ed educative: ‹‹Saprò essere per lui una buona madre?›› ‹‹Saprò educarlo nel modo giusto?›› ‹‹Riuscirò a difenderlo da tutti i pericoli presenti nella nostra sciagurata società?››
Questo stato di tensione ed indecisione può durare per anni, sconvolgendo anche la vita del partner e degli altri familiari più sereni, ai quali la madre ansiosa chiede mille consigli e mille suggerimenti per fugare i suoi dubbi. D’altra parte, quando questi consigli e questi suggerimenti le vengono offerti non riesce a farli propri e attuarli se non per brevi periodi.
Nel momento in cui la tanto sospirata decisione è stata presa e quindi lei si ritrova in attesa di un figlio, per placare tutte le preoccupazioni che aveva e continua ad avere, le sono necessarie numerose e frequenti visite ed esami medici che, se placano per qualche ora la sua ansia, le fanno sorgere, già il giorno dopo, ulteriori perplessità e paure che la spingono ad effettuare ulteriori accertamenti alla ricerca di una assoluta sicurezza impossibile da raggiungere.
Questa continua ed incessante tensione materna non può non riflettersi sul figlio in grembo il quale, non solo sente il battito eccessivamente frequente della madre e la tensione del suo addome, ma è invaso, a sua volta, dagli ormoni adrenalinici che lei rilascia abbondantemente in circolo. Questi mettono in allarme anche il corpo e la mente del nascituro, stressandolo inutilmente. Se poi la madre ansiosa percepisce qualche segnale di rischio per il figlio, la situazione di allarme si accresce notevolmente. In questi casi il nascituro può diventare agli occhi della donna, ma anche dell’intera famiglia, un peso difficile da sostenere, sia economicamente sia psicologicamente. E da ciò, a considerarlo un bambino che provoca guai già prima ancora di venire al mondo, il passo è breve! In definitiva è come se un’orchestra iniziasse la sua ouverture con qualche nota stonata; gli ascoltatori ne trarranno una sensazione negativa per tutto il tempo dell’esecuzione dell’opera.
Durante la gravidanza anche le madri normali hanno dei momenti di ansia a causa di una situazione di maggiore fragilità e vulnerabilità psichica. Questi momenti di ansia diventano più frequenti e l’emozione provata diventa più intensa, quando la persona, già per sua natura presenta una fragile emotività. In questi casi, se la madre del piccolo ha accanto a sé per sostenerla, aiutarla e confortarla, un marito sereno, tranquillo ed equilibrato, che vede la vita e gli avvenimenti in modo obiettivo e positivo, il problema, almeno in parte, si ridimensionerà. Le parole rassicuranti, i baci, i suggerimenti, le attenzioni particolari del coniuge, saranno capaci di diminuire di molto lo stato di tensione della consorte. Se invece anche il padre lamenta gli stessi problemi, sarà difficile che possa essere quella sponda serena, stabile e sicura, su cui la madre potrà far conto e appoggiarsi per placare i suoi dubbi, le sue perplessità o anche le sue crisi d’ansia. In questi casi, nei confronti del nascituro, le problematiche causate dalla condizione di allarme saranno nettamente più gravi. Lo stesso dicasi per le altre persone che stanno accanto alla madre: genitori, nonni, zii, cugini. Anche loro hanno, nei confronti dell’ambiente del bambino, un ruolo attivo e importante in quanto possono incidere positivamente o negativamente sul benessere della donna in gravidanza. Notevoli stimoli ansiosi possono provenire inoltre, da parte dei pediatri o dei familiari, i quali, a volte, sommergono di eccessivi consigli, suggerimenti e attenzioni la neo-mamma.
- Una visione distorta e alterata della gravidanza.
Anche una visione distorta della gravidanza può compromettere il futuro benessere del feto e poi del bambino. Questa può essere vista come:
- ricatto e costrizione;
- intrusione;
- rischio;
- motivo di ansia e angoscia;
- elemento disturbante il rapporto di coppia.
- Gravidanza come ricatto e costrizione
Non sono rari i casi nei quali la gravidanza diventa uno strumento di ricatto e costrizione nei confronti degli altri. Per motivi biologici facilmente comprensibili, in genere è la donna che attua questo tipo di ricatto nei confronti dell’uomo e della famiglia di quest’ultimo ‹‹Tu non mi chiedi di sposarti. Tu vuoi liberarti di me. Ebbene io ti costringo, rimanendo incinta, a sposarmi o, se proprio insisti a non legarti a me, dovrai mantenere per decine d’anni questo bambino››. ‹‹I tuoi non mi vogliono. Ai tuoi non piaccio, ebbene io, sposandoti, li costringerò ad accettarmi››.
L’aggressività e la violenza che sottostanno al ricatto hanno frequentemente, come contropartita, una ricaduta negativa sia nei confronti della donna che lo attua, sia nei confronti del figlio. Nell’uomo che subisce il ricatto possono nascere pensieri di questo genere: ‹‹Ebbene sì, tu mi hai costretto a sposarti ma io…io non ti rispetterò, io ti tradirò con la prima venuta, io non contribuirò all’educazione e alla formazione di questo bambino, in quanto strumento del tuo ricatto, anzi, quando meno te l’aspetti mi vendicherò su di te e sul tuo bambino››. In questi casi il rifiuto colpisce il figlio ma anche la madre. Non è difficile immaginare quanto possa essere teso e distruttivo un ambiente pregno di costrizioni, ripicche, vendette e rifiuti.
- La gravidanza come intrusione.
Quando ad esempio la relazione tra i due partner è fatta solo di scambi affettivi e sessuali o peggio, solo di questi ultimi, senza un grande, impegnativo progetto comune, quel bambino che si sta formando nel ventre materno è facile che sia avvertito come un elemento estraneo ai sentimenti e ai desideri della coppia in quel momento e di conseguenza può nascere il rifiuto. In queste circostanze, quando l’amore è considerato solo un gioco piacevole da fare in due, non vi è posto per la responsabilità, l’impegno, la cura, l’educazione e la crescita di un nuovo essere umano, pertanto emerge ed è prevalente il rifiutodella maternità (reiezione materna).
Può essere avvertito come un intruso anche il bambino di quei coniugi nei quali è presente una disarmonia affettiva. Questi vivono il loro rapporto senza quell’unione di anime e quel dialogo profondo che dovrebbero sempre permeare un rapporto di coppia.
E ancora il rifiuto della maternità può essere causato dalla difficoltà ad accettare un ruolo di adulto da parte di genitori immaturi o nei quali è ancora evidente il legame edipico. Infine, altri motivi di difficoltà possono scaturire da ristrettezze economiche o da eccessivi coinvolgenti ed impegni professionali o di carriera (De Negri e altri, 1970, p. 130).[1]
A volte, solo uno dei due partner, soprattutto la donna, ricerca istintivamente o anche razionalmente la gravidanza, senza il consenso dell’altro. In questi casi solo uno dei due genitori avverte come estraneo il bambino inseritosi nell’ambito della famiglia e della coppia, mentre per l’altro, il figlio che deve nascere è fonte di gratificazioni e risponde all’espressione di un desiderio. Se questa situazione permane anche dopo la nascita è facile che il figlio avverta un solido legame affettivo solo nei confronti di chi l’ha desiderato e accettato, mentre verso chi non l’ha voluto e apertamente lo rifiuta, non vi sarà un vero legame, oppure la relazione sarà vissuta con molta diffidenza, se non con aperta ostilità.
Il rifiuto dei genitori può essere consapevole o inconsapevole, transitorio o durevole (De Negri e altri, 1970, p. 130). [2] È evidente che il bambino subirà un maggior danno psicologico quando più il rifiuto persisterà nel tempo. Inoltre, il sentimento di rifiuto potrà essere intenso, modico o lieve. Pertanto anche le conseguenze potranno essere più o meno gravi.
I sentimenti di rifiuto possono provocare una maggiore aggressività e conflittualità tra i genitori ed il figlio. A volte compare, invece, un atteggiamento educativo eccessivamente perfezionista, ma anche un iperprotezionismo e una ipersollecitudine compensatoria a causa proprio dell’intimo rifiuto avvertito con senso di colpa (De Negri e altri, 1970, p. 130). [3]
- Gravidanza come rischio.
La gravidanza può essere vissuta come rischio in quelle società che condannano, come atto di grave immoralità, ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio. In queste società i rapporti sessuali, evidenziati dall’avvenuta gravidanza, sono puniti severamente sia dai genitori sia dall’ambiente sociale e giudiziario. Altrettanto rischiosa appare la gravidanza quando le condizioni ambientali ed economiche non sono adeguate al sereno accoglimento e sostentamento del bambino o. quando. le condizioni psicologiche, anatomiche o mediche della madre non sono in grado di ben accogliere un nuovo essere umano.
È difficile, in questi casi, definire a priori il vissuto dei genitori e quindi le conseguenze sul figlio, in quanto gli elementi in gioco sono molteplici. Vi è la possibilità che verso questo bambino si avvertano sentimenti di rifiuto e lui sia quindi percepito come fonte di problemi, guai e pericoli, ma è anche possibile che queste madri o questi genitori si leghino ancora di più all’infante che hanno concepito con coraggio e in una situazione di difficoltà e rischio.
- Gravidanza come motivo di ansia e angoscia.
Quando le condizioni psicologiche della madre o del padre sono tali da vivere ogni cambiamento della realtà preesistente con apprensione ed eccessiva preoccupazione, l’elemento gratificante e piacevole dell’attesa è sostituito da pensieri angoscianti su cosa fare, come farlo, a chi chiedere aiuto, e così via.
- Gravidanza come elemento disturbante il rapporto di coppia.
La gravidanza, per il suo notevole impatto sulla coppia, costringe a modificare i precedenti schemi relazionali in quanto il rapporto a due diventa, necessariamente, un rapporto a tre. L’inserimento di un altro elemento: il nascituro, può essere gestito correttamente solo se i genitori possiedono quella maturità, sensibilità, duttilità e disponibilità, necessarie per condividere questa esperienza. La condivisione però non significa scambio o confusione di ruoli, ma dovrebbe impegnare ogni elemento della coppia ad attivarsi per affrontare nel modo più opportuno questo evento, mettendo in campo le qualità specifiche del proprio sesso. Negli ultimi decenni, invece, la condivisione si è focalizzata su aspetti marginali, trascurando gli elementi basilari. Si costringe il futuro padre a partecipare agli esercizi di preparazione al parto, ma non lo si stimola ad attuare quegli atteggiamenti di presenza, sostegno, protezione e rassicurazione, necessari nei confronti della donna in attesa, la quale spesso, essendo in questo periodo più fragile psicologicamente, può essere facile preda di paure, insicurezze e ansie. Altrettanto dicasi della partecipazione al parto. Mentre si lasciano in sala d’attesa le donne, come le madri e le suocere, che per cultura, per qualità specifiche di tipo femminile e per esperienza personale, potrebbero dare alla donna un’assistenza più qualificata e serena, si costringe il marito a restare accanto alla moglie nel momento del parto. In questi casi non si tiene in alcun conto che questo evento, naturale e fisiologico quanto si vuole, è quasi sempre associato a notevole ansia e ad immagini, gesti e odori sgradevoli, se non nettamente cruenti e angoscianti per chi vi assiste per le prime volte, soprattutto se chi assiste è il marito della donna e padre del bambino. Questa coatta partecipazione, più che unire la coppia, può lasciare sfavorevoli o addirittura sconvolgenti residuati nell’animo dell’uomo, con sensi di risentimento sia nei confronti della moglie, che lo ha costretto a questo tipo di partecipazione, sia nei confronti del bambino che, per venire al mondo, ha avuto bisogno di coinvolgere la sua donna in situazione così drammatiche e dolorose.
In conclusione, se come abbiamo detto i sentimenti della madre, ma non solo di questa, prima e durante la gravidanza, possono influenzare profondamente il suo atteggiamento nei riguardi del bambino che nascerà, non vi è dubbio che una corretta prevenzione: sia a livello sociale che familiare, dovrebbe impegnare gli operatori ad affrontare non soltanto gli aspetti medici ma soprattutto gli aspetti psicologici e relazionali legati a questo evento.
[1] M. DE NEGRI e altri, Neuropsichiatria infantile, Genova, Fratelli Bozzi editori, 1970, p. 130.
[2] Cfr. Ibidem.
[3] Cfr. M. DE NEGRI e altri, Neuropsichiatria infantile, Op. cit., p. 130.