UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Considerazioni sullo smartworking in ambito psicologico
Autori:
Giuseppe Cesa
Armida Turini
Riprendendo quanto espresso in uno scritto precedente in cui parlavo dell’elaborazione del dolore da perdita in una fase in cui i contatti umani sono fortemente limitati per motivi sanitari, desidero qui ampliare il discorso facendo riferimento a quanto avviene nel nostro lavoro consultoriale.
Già dal mese di marzo noi consulenti ci siamo trovati nella condizione di dover sospendere i colloqui in presenza con i nostri pazienti al fine di limitare le possibilità di diffusione del contagio da Covid-19.
Su indicazione delle associazioni professionali, riprendendo le disposizioni ministeriali, regionali e locali, abbiamo potuto continuare la nostra attività soltanto da remoto, cioè mediante contatti telefonici, o videochiamate tipo WhatsApp, Skype ecc.
Prima d’ora questa modalità di lavoro era relativamente poco diffusa e limitata a situazioni particolari, come nel caso in cui un paziente doveva trasferirsi lontano per studio o lavoro oppure quando non poteva raggiungere lo studio per un certo periodo, a causa di una malattia. Tutte situazioni particolari, studiate e sperimentate ma poco diffuse, almeno nella nostra realtà.
Noi operatori ci siamo spesso posti con diffidenza nei confronti dell’attività da remoto in quanto oggettivamente ci toglie la possibilità di cogliere aspetti inerenti la comunicazione non verbale, importanti per la comprensione del soggetto. Inoltre, l’incontro in presenza favorisce l’emergere degli affetti, elemento fondamentale nel lavoro terapeutico.
D’altra parte, anche le persone che chiedono una consulenza hanno bisogno di uno spazio e di un tempo definito, un luogo d’incontro intimo e protetto per sentirsi liberi di parlare e di aprirsi.
Il contesto d’incontro per la consulenza psicologica necessita di un luogo protetto ed assolutamente riservato, ma può essere difficilmente realizzabile in alcune situazioni, come quelle venutesi a creare in seguito alla recente pandemia.
In questo periodo, la maggioranza delle persone è costretta a stare in casa, spesso in appartamenti con dimensioni contenute, con i figli a casa da scuola, il coniuge a casa dal lavoro, per cui può diventare impossibile trovare un tempo ed uno spazio sufficientemente riservati per poter parlare liberamente con un consulente. Perciò può essere molto faticoso lavorare in queste condizioni sia per l’utente che per l’operatore psicologico.
D’altra parte, in questi contesti in cui talvolta la vita delle persone viene sconvolta, l’intervento psicologico diventa molto importante per diversi motivi.
Innanzitutto, la convivenza forzata per lunghi periodi in spazi limitati, invece di favorire l’affiatamento e la riscoperta del piacere di stare assieme, può provocare quello che in gergo militare è detto “effetto sommergibile”, realtà già ampiamente studiata tra i ricercatori rinchiusi per mesi nei laboratori di ricerca in Antartide. Quando due o più persone convivono a lungo in spazi ristretti, con scarsi contatti col mondo esterno e con scarse possibilità di trovare spazi intimi in cui ritirarsi, si possono scatenare dinamiche relazionali anche cruente perché le persone non si sopportano più. Una diffusa esperienza al riguardo si verifica quando ad esempio, due o più coppie fanno una vacanza assieme di 2 o 3 settimane. Al ritorno dalla vacanza, spesso i rapporti sono incrinati e che le coppie cercano di recuperare delle distanze di sicurezza.
Un altro motivo, riguarda le problematiche organizzative della vita quotidiana che l’isolamento comporta. Non è sempre facile gestire attività come il fare la spesa, seguire i figli nell’ardua attività scolastica da remoto, occuparsi dei genitori anziani e bisognosi, lavorare in smartworking o, per i più sfortunati, fare i conti con le entrate economiche ridotte o svanite.
Infine, c’è una ragione inerente all’evento stesso, come evento nuovo e sconosciuto, che ha messo in seria difficoltà gli scienziati, i medici e le autorità, costretti ad intervenire con urgenza, sprovvisti di conoscenze e linee di comportamento valide e consolidate da seguire. Questo fatto ha consentito il proliferare di una varietà di comunicazioni, non sempre corrette, che sono circolate nei mass-media e nei social, alimentando le paure che inesorabilmente la pandemia scatena con diverse reazioni al subbuglio emotivo di ogni persona. Ciò è amplificato ancora di più nel momento in cui una o più persone della famiglia si trovano o sono a rischio di trovarsi in una condizione di contagio.
Molti colleghi anche in questo frangente, a cui oggettivamente nessuno era preparato, hanno saputo trovare la strada per realizzare quello che fino a qualche mese fa veniva lasciato a casi particolari o a situazioni di sperimentazione e studio. Nonostante la fatica iniziale, molti di noi operatori e molti utenti, a volte facendo acrobazie, sono riusciti ad impostare dei setting tali da garantire la riservatezzanecessaria per un lavoro psicologico e hanno imparato gradualmente a cogliere da mille altre sfumature quei segnali del non verbale utili a far fluire la relazione di aiuto conducendo il lavoro psicologico a buon fine.
Giuseppe Cesa
Armida Turini
psicologi – psicoterapeuti